Il termine bioplastica è ad oggi uno di quelli che genera un po’ di confusione, e a ragione visto che con lo stesso termine si intendono concetti differenti. Vediamoli assieme!
Secondo European Bioplastics, ovvero l’associazione europea che rappresenta l’industria di settore, le bioplastiche sono quelle:
- biodegradabili (o bio-degradable in inglese), ovvero che nel tempo sono soggette ad un processo chimico nel quale i microrganismi disponibili nell’ambiente convertono i materiali in sostanze naturali come acqua, anidride carbonica e compost senza la necessità di additivi chimici
- a base biologica (o bio-based in inglese), ovvero sono composte da materiali che derivano dalla biomassa, ad esempio da mais, canna da zucchero o cellulosa
Attenzione! Le plastiche biodegradabili non sono necessariamente a base biologica e le plastiche a base biologica non sono per forza biodegradabili! Per chiarire le idee abbiamo creato il seguente grafico.
Un altro punto di vista
Assobioplastiche ovvero l’associazione italiana di filiera dei materiali biodegradabili e compostabili è di un’altra scuola di pensiero e suggerisce di non usare il termine bioplastiche per indicare plastiche a base biologica, che prenderanno invece il nome di plastiche vegetali. Secondo la definizione di Assobioplastiche, le bioplastiche sono solamente quelle biodegradabili e compostabili, sia di origine biologica che fossile.
Per complicare ulteriormente, come già visto in altri articoli dell’Osservatorio della Plastica, biodegradabilità e compostabilità della plastica non sono da confondere perché fanno riferimento a due caratteristiche legate, ma non si tratta esattamente della stessa proprietà.
In breve, un materiale per potersi definire biodegradabile e compostabile deve soddisfare dei requisiti diversi rispetto a quelli per la sola biodegradabilità. Per essere compostabile secondo la norma tecnica UNI EN 13432:2002, il materiale deve degradarsi del 90% in 6 mesi, disintegrarsi per almeno il 90% in frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm entro 3 mesi e deve essere verificata l’assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e sul compost finale. Anche i simboli utilizzati per indicare che il prodotto è stato valutato conforme ai test di compostabilità sono differenti rispetto a quelli generici usati per la biodegradabilità.
A cosa serve la bioplastica?
A prescindere dalla definizione, le bioplastiche hanno un grande potenziale ovvero quello di mitigare il problema dello smaltimento a fine vita e/o dell’uso di risorse finite per la loro produzione, come il petrolio.
Secondo Bioplastics Europe, nel 2019 circa l’1% della produzione mondiale di plastica era bioplastica, di cui il 55% di plastica biodegradabile e il restante 45% di plastica dalla biomassa ma non biodegradabile. Le previsioni parlano di una crescita moderata, ovvero da 2.11 milioni di tonnellate nel 2019 fino a circa 2.43 milioni di tonnellate nel 2024
Le bioplastiche sono già utilizzate in una varietà di applicazioni, inclusi materiali di imballaggio, contenitori per alimenti, posate usa e getta e persino tessuti. In generale, offrono una serie di vantaggi rispetto alle plastiche tradizionali, tra cui la riduzione delle emissioni di gas serra durante la produzione e lo smaltimento, un minore utilizzo di risorse finite e una migliore biodegradabilità. Nella realtà dei fatti ogni bioplastica è un materiale a sé, con le sue limitazioni e il suo potenziale.
Quali sono le bioplastiche più comuni?
Grazie all’evoluzione normativa che spinge verso soluzioni sostenibili e alla maggior consapevolezza sui danni ambientali causati dalla plastica convenzionale, le bioplastiche stanno diventando sempre più popolari. Questo ha portato ad un intensificarsi della ricerca e degli sforzi per creare un circuito virtuoso attorno a questi prodotti. Per citare alcuni esempi di bioplastiche e dei loro usi più frequenti abbiamo:
- Acido polilattico (PLA): utilizzato in materiali di imballaggio, stoviglie usa e getta e sacchetti biodegradabili. Venne scoperto dal chimico Wallace Hume Carothers (inventore anche del nylon) negli anni ’30 ma poi prodotto in serie solo molti decenni dopo
- Bioplastiche a base di amido: utilizzate negli imballaggi alimentari e nelle stoviglie usa e getta.
- Bioplastiche a base di cellulosa: utilizzate nella produzione di abbigliamento, imballaggi alimentari e beni di consumo.
- Poliidrossialcanoati (PHA): utilizzati in impianti medici, sistemi di somministrazione di farmaci e imballaggi biodegradabili. I PHA sono polimeri sintetizzati da vari generi di batteri (Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas, ecc.) attraverso la fermentazione di zuccheri o lipidi
- Polietilene biodegradabile (PE): utilizzato in sacchetti compostabili, materiali di imballaggio e pellicole agricole.
Dove buttare i rifiuti in bioplastica?
Come visto in questo articolo, la raccolta differenziata in Italia discrimina il rifiuto di plastica sulla base della tipologia di prodotto piuttosto che sulla base del materiale, almeno in fase di raccolta. In breve, involucri e imballaggi in sono da buttare nella differenziata, oggetti in plastica no. In una seconda fase, il materiale riciclabile sarà separato dalla quota di materiale differenziato.
Lo stesso si applica alle bioplastiche, con una ulteriore accortezza: imballaggi in bioplastica che è anche biodegradabile e compostabile dovranno essere gettati nell’umido e non nei bidoni della plastica. Occorre comunque verificare con le disposizioni comunali perché questo non è vero in tutta Italia.
Quali sono le sfide della bioplastica?
Le bioplastiche sono già una realtà, ma ci sono alcune sfide e barriere associate alla loro produzione e utilizzo. Alcune di queste sono:
- Costo: la produzione di bioplastiche è tuttora più costosa rispetto alle tradizionali plastiche a base di petrolio. Ciò è dovuto all’elevato costo delle materie prime, nonché alle attuali limitazioni nella tecnologia di produzione.
- Scalabilità: la produzione di bioplastiche è attualmente limitata e il ridimensionamento per soddisfare le esigenze del mercato globale è una sfida importante.
- Prestazioni: le bioplastiche hanno ancora generalmente prestazioni inferiori rispetto alle plastiche tradizionali in termini di durabilità, robustezza e resistenza al calore e agli agenti chimici. Ciò li rende inadatti per determinate applicazioni, ad esempio nell’industria automobilistica ed elettronica.
- Mancanza di infrastrutture: attualmente vi è una mancanza di infrastrutture per la raccolta, la lavorazione e lo smaltimento delle bioplastiche, il che rende difficile integrarle efficacemente nei sistemi di gestione dei rifiuti esistenti.
- Percezione pubblica: c’è ancora una mancanza di consapevolezza e comprensione da parte del pubblico sulla bioplastica, che può portare a confusione e disinformazione sui loro vantaggi e limiti. La scorretta differenziazione o la mancanza di luoghi appropriati in cui convogliare tali rifiuti diminuisce nettamente il valore dei potenziali vantaggi insiti in questi materiali.
- Coltivazioni (in)sostenibili: la coltivazione di materie prime di biomassa da utilizzare per la produzione di bioplastica può essere dannosa se non gestita così da mantenere un adeguato equilibrio con le colture alimentari e la biodiversità locale.
Nonostante tutto questo, le bioplastiche sono una parte importante dello sforzo per creare un futuro più sostenibile per il nostro pianeta. Riducendo l’uso di risorse finite e migliorando la sostenibilità della produzione e dello smaltimento della plastica, le bioplastiche possono contribuire a creare un futuro più verde e sostenibile.
Cosa ricordare
Il termine bioplastica è utilizzato con diversi accezioni, ma in generale è usato per indicare un’alternativa più sostenibile rispetto alla plastica convenzionale. Attualmente le bioplastiche costituiscono solamente circa l’1% della produzione mondiale annua di plastica. Esistono diversi tipi di bioplastiche (come l’acido polilattico o le bioplastiche a base di cellulosa o amido), ciascuna delle quali ha dei limiti e del potenziale che si realizza nella sua applicazione in certe destinazioni d’uso. Nonostante le bioplastiche appaiano come una possibile soluzione al problema dell’inquinamento della plastica rimangono delle sfide enormi, quali i costi, la mancanza di infrastrutture, la scalabilità, la percezione del pubblico e le prestazioni non sempre al pari della plastica convenzionale.
Ulteriori informazioni
Sito web di European bioplastics (in inglese): qui
Sito web di Assobioplastiche: qui